Che ne sarà della nostra salute?

da La Redazione | 28 Luglio 2015 13:46

       Che ne sarà della nostra salute? La sanità è in mano ad una politica che è incapace di tagliare i costi senza ledere reparti, servizi e i diritti dei cittadini, le scelte e le riflessioni che sono fatte o che si stanno facendo a vari livelli istituzionali sono aberranti, nella scala dei valori si vede chiaramente  precipitare l’interesse del malato verso il gradino più basso, le nostre vite invece che essere nelle mani dei medici sono in mano ai politici.

       Il diritto alla salute dovrebbe essere slegato da qualsiasi ragione di natura economica, nel momento in cui un medico curante ravvisa la necessità di approfondire lo stato di salute del paziente attraverso analisi specifiche o approfondimenti che gli consentano una diagnosi più precisa, come può la politica non può interferire facendo pressioni più o meno velate affinché si prescrivano meno esami? Un medico ha in primo luogo un dovere deontologico.

     Inaccettabile quella politica che vuole mettere sotto al bisturi le piccole strutture ospedaliere, lo spettro di chiusura o conversione dei piccoli ospedali purtroppo sta già sortendo i suoi effetti negativi, è ovvio che dal punto di vista esclusivamente economico l’ accentramento e l’accorpamento permetterebbero alle Asl di risparmiare, ma è un affermazione alla quale aggiungerei un punto di domanda visto che ci sono svariati casi che dimostrano purtroppo che sta avvenendo anche l’esatto contrario ed è sempre dovuto a cause legate a scelte politiche sbagliate.

       Il timore di scontentare il proprio bacino elettorale sembra l’unico freno che impedisce di premere l’acceleratore, laddove le Regioni (che hanno competenza in materia) tentennano, ci pensa il governo centrale, lo aveva già fatto con la spending review stabilendo standard numerici sotto i quali giustificare tagli a posti letto o a reparti e probabilmente lo farà ancora, la strada è solo più lunga e più irta ma comunque diretta al poco nobile obbiettivo di contenere la spesa della sanità senza sacrificare poltrone.

        Sui piccoli ospedali il copione sembra sempre lo stesso, quei reparti che erano fruibili giornalmente diventano fruibili a giorni alterni o con un apertura oraria ridotta, spesso dimezzata, una scelta che comporta conseguentemente una riduzione del numero di accessi e delle prestazioni effettuate regalando quindi l’alibi all’Asl per giustificare la chiusura dei reparti stessi magari adducendo al fatto che gli italiani, quando si tratta di salute, preferiscono affidarsi ai grandi ospedali. I numeri parlano da soli, i numeri sono numeri a chi decide non interessa il percorso fatto per arrivare a quei numeri!!! Alla fine della fiera, gli ospedali restano aperti, ma dietro a quel portone solo corsie con posti letto, assistiti da personale infermieristico, le sale operatorie solo nei grandi ospedali, quelli in cui si trattano gli acuti, benvenuti negli ospedali di comunità!!!

      L’ultima battuta raccapricciante pare averla fatta la Lorenzin che auspicherebbe l’aumento del ticket al pronto soccorso visto che per lo Stato ci sono troppe persone si rivolgono al pronto soccorso. Viste le lunghe attese che spettano a chi si reca in pronto soccorso credo che nessuno si diverta a passare il proprio tempo in fila senza che sia necessario, aumentarne il ticket significa infierire su quel ceto medio o meglio medio basso che magari in periodi di crisi si ritrova costretto a rinunciare a curarsi.

      Che sia quello l’obbiettivo subliminale?

    Meno gente che si cura può tradursi anche in un aumento di decessi per lo Stato meno pensioni da pagare, un costo in meno.

Loris Dall’Acqua  – Poggio Torriana

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